Mi ricollego al post precedente.
Provate a rifletterci e se volete, a farmi sapere come la pensate per avere un risconto.
Mi scuso se risulto un pò pesante su questo ma vi prego di rifletterci, è una questione a cui tengo moltissimo!!!
Per me la disabilità è:
Mi rimane difficile rispondere con la frase “ per me la
disabilità è…”, preferisco usare l’espressione “ credevo che la disabilità
fosse…” in quanto, nelle ore di lezione svolte ho voluto fin da subito
cancellare l’idea che avevo sulla disabilità.
Consideravo la disabilità come una condizione irreversibile
della vita delle persone, consideravo il disabile come una persona affetta da
qualche malattia grave e incurabile, provavo compassione perché ritenevo che quella persona avrebbe
passato la sua vita ai margini della società, per colpa della società stessa.
Non ho mai pensato a che cosa fosse per me la cura per la
persona disabile, ciò credo che sia derivato dal fatto che, come ho riportato
precedentemente, essere disabile significasse essere una persona incurabile. Per
me il disabile non poteva far altro che rassegnarsi alla sua condizione.
“ E’ cosi, non si può fare niente…poverino.”
Credo che per me la cura fosse semplicemente qualche
esercizio di riabilitazione, nient’altro.
Questo era ciò che pensavo sulla disabilità, come credo
questo sia il pensiero che hanno ancora molte persone.
IO avevo, nei confronti del disabile, un atteggiamento
vittimistico.
Dopo aver visto il video, dopo le ore di lezione, dopo aver
letto che cos’è la disabilità e che cos’è il deficit, scriverei esattamente
quello che ho letto, non perché qualcuno mi ha detto, o qualcuno ha scritto “la
disabilità è” ma perché, dopo aver distrutto la mia idea su di essa, ho
ascoltato, con la mente libera dai “se” e dai “ma”, riuscendo a ricostruire una
nuova concezione sulla disabilità e sulla persona disabile, facendo diventare
mio questo pensiero.
Per me quindi la disabilità è un prodotto causato
dall’interazione con il deficit della persona e con l’ambiente.
Prima provavo compassione per il disabile ora provo rabbia,
non certamente verso di lui, ma verso questa società piena di vittimismo e
falsità, una società che non riesce ad andare oltre il dato oggettuale che sia
fisico, psicologico mentale, ecc … una società che si sente nel giusto e si
sente “buona” a dire “ma poverino” una società che fa finta di creare
integrazione perché non riesce a far altro che mascherare la “diversità” , che ha
paura di usare il termine “diverso” così facendo credo non faccia altro che
creare un disagio.
La prima parte del “il circo della farfalla” credo riporti l’immagine di una società
cattiva e ignorante, il lato estremo, il
rifiuto, ho “letto” il film come se
fosse una linea del tempo dove il rifiuto (la prima parte del video) era il
passato e la seconda parte il nostro
futuro, il traguardo per la vera prospettiva dell’ inclusione, il riscatto del
disabile, la sua possibilità di poter andare oltre il dato oggettivo e
mostrarsi e mostrare quello che può e sa fare.
Per ora per me “disabilità”, “disabile”, è la società,
in quanto il disabile diventa tale nel ritrovarsi di fronte “all’incapacità (o non volontà) del contesto
socioeducativo di affrontare i problemi del deficit…”. A causa quindi, non della sua situazione,
ma “ alle scelte, ai ritardi dei “normali”
”(Citato L.
Guerra)
La cura del disabile ora credo che sia il trovare strade,
percorsi, creare ausilii sempre più utili per la sua integrazione, farlo
sentire capace di poter fare, tirar fuori al meglio le sue capacità.
Per rendere possibile questo credo che prima di tutto
dobbiamo curare noi stessi, noi
“ normali”, dobbiamo fare un percorso
su noi stessi di decostruzione dell’idea che abbiamo sull disabilità e su chi
lo porta il/un deficit.
Il nostro compito è quello di far uscire le capacità, le
possibilità, di quella persona o ragazzo, e per far questo prima di tutto
dobbiamo fargli credere che “è possibile”.
Dobbiamo riuscire a tirar fuori la capacità fondamentale per
poter attivare di conseguenza le altre : la fiducia in sé steso.
Come fare questo percorso se siamo spesso noi i primi a
credere che la mancanza di quel braccio, di quella gamba, la presenza della
sindrome di down, siano ostacoli grandi, fattori fondamentali per renderti
“incapace di poter fare”?!?!?!
Oltre questo credo che il secondo step per la cura sia
creare un contesto adatto per diminuire l’apertura di forbice tra la normalità
e la disabilità. Si è creato per esempio l’ ausilio della sedia a rotelle,
molto utile ma non credo sia arrivato al massimo della sua possibilità, come
far sentire la persona a “suo agio” sopra una sedia a rotelle se, banale
esempio, per potersi prendere un caffè deve trovare quel bar, magari uno su
dieci della sua città, con una pedana!?
Quindi c’è bisogno di pensare di più alla diversità perché
c’è, esiste, e solo pensandola si può farla realmente esistere e lavorarci per renderla una “speciale
quotidianità”.
Il terzo step della cura è accogliere, non giustificare, non
compatire , altrimenti si finirebbe nella semplice spettacolarizzazione. Credo
che tutti questi step siano correlati e vengano prima della cura a livello
medico/sanitario, per poter arrivare a non avere più quel pensiero stereotipato
sula disabile e il suo deficit che ci porta a dire frasi del tipo :“ Poverino,
la sua vita non sarà mai normale, non avrà mai tutti le possibilità per…”
questo pensiero è il primo ostacolo per il disabile, perché un atteggiamento
del genere è la prima cosa che preclude la possibilità “di”, “per”…
In altre parole tutta la cura per il disabile, e il concetto di disabilità,
credo siano due fattori che ruotino intorno
alla cura del nostro pensiero.